Nel 1944 Bruno Stefani ha trentadue anni. Antifascista, già dai primi mesi del 1944 svolge un importante ruolo di raccordo e staffetta tra le varie formazioni partigiane attive tra Media Valle e Garfagnana, oltre ad aiutare soldati inglesi fuggiti dai campi di prigionia e alcuni ebrei. Il 9 luglio si trova a Calavorno con una formazione partigiana e due giovani che sostengono di essere patrioti che operano sul monte Cavallo agli ordini di un maggiore inglese. Non risultano convincenti e quindi viene deciso che Stefani partirà alla volta di Piazza al Serchio alla ricerca di maggiori informazioni. Qui però viene catturato dai tedeschi, condotto a Bagni di Lucca e condannato a morte. Gli altri partigiani di Calavorno ancora non lo sanno e, quando si dirigono verso Lucignana per parlar con Stefani, incontrano alcuni abitanti del paese che li avvisano di un imminente arrivo dei tedeschi. Loro raggiungono la casa del loro compagno per nascondere del materiale compromettente che hanno lasciato lì.
Verso le 17.30 arrivano i tedeschi insieme a Stefani. Già provato dai maltrattamenti subiti, cerca di fuggire, ma una raffica di mitra lo ferisce a una gamba. I tedeschi continuano a interrogarlo e a torturarlo, ma lui rifiuta di parlare e di fare nomi. Al partigiano vengono negati i conforti religiosi da lui stesso chiesti prima dell’esecuzione: è la madre che prega con lui, recitando l’atto di dolore, mentre il parroco don Pietro Petretti benedice da lontano. La madre chiede di morire con lui, ma – secondo la testimonianza del sacerdote – i tedeschi le rispondono: «Mamma vivere, vedere morire il figlio». Poi, una raffica di mitra pone fine alla sua vita.
Angelini – La solidarietà di Lucignana verso gli ebrei perseguitati