Il 19 settembre 1944 un bombardamento aereo alleato distrugge l’albergo “Il Globo”, sede del comando della Brigata Nera a Castelnuovo. I fascisti si spostano al convento dei Cappuccini, dove sono rimasti un paio di frati. Nei giorni successivi i partigiani – nell’ambito di un’azione studiata per liberare Luigi Berni – decidono un’azione contro di loro, approfittando di una festa indetta per celebrare la nuova sede. La sera del 22 settembre si avvicinano al refettorio del convento per sparare con i mitra e lanciare bombe a mano. Nell’attentato rimane gravemente ferita una donna, Ada Satti Ricci, cognata di un gerarca fascista, e molti altri presenti devono ricorrere alle cure mediche. Saputo quanto avvenuto, la mattina successiva Idreno Utimpergher ordina una rappresaglia, ordinando anche ai militi dei presìdi di Coreglia, Barga e Gallicano di spostarsi a Castelnuovo. Vengono rastrellate decine di persone, ma i primi a essere puniti sono tre uomini poco più che ventenni sfollati in zona a seguito dei bombardamenti e che hanno deciso di anticipare di qualche ora la vendemmia proprio per evitare il ritorno dei bombardieri: Duilio Cavallini, Edoardo Lazzarini e Alfiero Orazzini. Vengono uccisi tutti e tre alle sette del mattino: il primo è Cavallini, gettato a terra con il calcio di un mitra e poi fucilato; l’ultimo è Orazzini, che cerca di scappare e, proprio nell’atto di saltare un muro, viene colpito a morte.
Nelle ore successive, due reparti delle Brigate Nere si spostano nelle campagne circostanti. Uno arriva in località Le Vigne, incendiando case e capanne e requisendo un po’ di oggetti. L’altro attraversa il Serchio e in località Merlacchiaia, verso le 16.15, incontra quattro giovani intenti a costruire un rifugio antiaereo: si tratta dei fratelli Ottavio e Decimo Bacci e dei fratelli Giovanni e Fernando Guidi. Anche loro vengono fucilati, mentre un altro fratello Guidi lì presente, Larino, riesce ad allontanarsi. Secondo le testimonianze rese al processo svoltosi nel dopoguerra dai familiari delle vittime, subito dopo l’uccisione dei quattro uomini i militi della Brigata Nera continuano a sparare per circa quaranta minuti per poi saccheggiare e appiccare il fuoco alle capanne del posto.
Secondo alcune testimonianze rese nel corso del processo celebrato nel dopoguerra per la rappresaglia, la sera stessa dei fatti uno dei comandanti della Brigata Nera si sarebbe vantato a tavola con gli altri fascisti di aver «fatto il tiro al piccione». Al termine di un lungo procedimento penale, comunque, le pene inizialmente inflitte ai responsabili delle uccisioni vengono ridotte in considerazione del movente politico e dell’amnistia nel frattempo intervenuta. A metà degli anni Cinquanta tutti i militi delle Brigate Nere sono liberi e senza più pendenze con la giustizia per i fatti commessi nel 1944.
Quaderni di Fare Storia – Relazione Merlacchiaia
Testimonianza di Marcella Bacci
Testimonianza di Giampiero Orazzini